Quando un ragazzo chiede aiuto, va ascoltato. Sempre.
Non è facile essere i genitori di un adolescente, soprattutto se la fase che sta attraversando è particolarmente burrascosa o problematica. Non è facile capirlo quando si chiude in un silenzio ostinato, interpretarne i segnali spesso così contraddittori. Non è facile leggere dietro a delle continue provocazioni una richiesta d’aiuto, intuire che un sintomo o un cambiamento rispetto ai “soliti” modi di fare nasconde una sofferenza più profonda. Può sfuggire anche al genitore più attento, perché tipico dell’adolescenza è comunicare ciò che si sente attraverso una miriade di modi non sempre direttamente comprensibili, mentre si cerca pian piano di imparare le parole per definirlo anche a se stessi.
Ecco perché quando un ragazzo o una ragazza chiede esplicitamente aiuto va sempre preso sul serio: anche quando agli occhi di un adulto sembra un “capriccio”, o un’esagerazione. Se arriva a dirlo, significa che è importante, che ci sta pensando da parecchio tempo (probabilmente da più di quello che sembra dall’esterno), e che ha proprio bisogno di una mano. Non liquidiamolo quindi come un problema sciocco, o qualcosa che “tutti vivono alla tua età”, ma ascoltiamolo e aiutiamolo a capirci qualcosa di più.
Questo vale anche quando i ragazzi chiedono di poter parlare con una specialista: un medico, uno psicologo o uno psicoterapeuta. Mi capita spesso di sentire, purtroppo, che questa idea cada inascoltata. Accoglierla non significa necessariamente accontentarla (questo lo si potrà valutare insieme, eventualmente anche con il professionista), ma prima di tutto cercare di capire cosa non va dal punto di vista del figlio, di cosa sente di aver bisogno, perché ha pensato proprio a quella figura professionale.
Talvolta sono gli stessi genitori ad essere vittime, a loro volta, dei pregiudizi sul mondo psy, del tipo “dallo psicologo ci vanno i matti, mio figlio non lo è”. No, dallo psicologo non ci vanno i matti e nemmeno (soltanto) chi sta molto male: ci va soprattutto chi desidera stare meglio. No, lo psicologo non incolpa i genitori, né li costringe a lavare i “panni sporchi” nello studio di uno sconosciuto, ma cerca di aiutare tutto il nucleo familiare a far fronte alla sofferenza che talvolta l’adolescente scoperchia. No, portare un figlio dallo psicologo non significa aver fallito come genitori (“dovrei essere in grado io di aiutare mio figlio”), ma cercare alleati per svolgere al meglio il proprio compito.
Del resto, quale miglior lezione per un figlio di mostrargli che anche quelle volte in cui da soli non ce la si fa si può sempre cercare (e trovare) un aiuto per superare gli ostacoli?