I ricordi, come le candele, bruciano di più nel periodo natalizio.
(C. Dickens)
La cioccolata calda la mattina della Vigilia. L’ultimo giorno di scuola prima di una lunga vacanza. La prima neve dell’anno, e la prima passeggiata nel silenzio ovattato dei fiocchi che cadono dal cielo. L’attesa dei regali, il profumo dei dolci di Natale. Le campane che suonano a festa. Le giornate in famiglia, sotto una copertina calda a vedere la televisione o in giro tutto il pomeriggio finché il naso non diventa tutto rosso dal freddo.
Ma anche la sensazione di vuoto lasciata da qualcuno che non c’è più. Il mandare giù quei commenti acidi – sempre gli stessi, ogni anno – durante il pranzo con i parenti. Il ricordo di quella discussione così terribile, proprio il giorno di Natale. La solitudine delle giornate festive, quando sembra che tutti gli altri siano pieni di cose da fare, di persone con cui stare bene. Il rimpianto di quello che non è andato bene, il senso di colpa per non esserci stati di più. Il bilancio delle scelte fatte, con la speranza che il 7 gennaio arrivi il più in fretta possibile per tornare a non pensare.
Il Natale è una di quelle ricorrenze a cui leghiamo esperienze emotivamente forti, nel bene e nel male. Può essere un momento di forte appartenenza ma anche, altrettanto frequentemente, di profondo malessere. Se così fosse, penso che sia importante tenere presente che questo non è inevitabile. Vero, non possiamo cambiare la nostra storia, né tantomeno le persone che abbiamo intorno, ma possiamo provare a fare in modo che il futuro non ricalchi il passato, a non rimanerci incastrati. A rinascere, che poi è proprio il significato di queste feste.