In occasione di un breve viaggio a Vienna ho avuto l’occasione di vedere il famoso “Fregio di Beethoven”, un monumentale ciclo murale dipinto dal pittore austriaco Gustav Klimt considerato a tutt’oggi una delle massime espressioni dello Art Nouveau viennese.
Il tema del Fregio prende ispirazione dalla Nona Sinfonia di Beethoven (quella dell'”Inno alla Gioia“) e raffigura, come in una narrazione, la ricerca e la conquista della felicità da parte di un’umanità sofferente. Ho trovato questa allegoria così piena di significato, e il dipinto così perturbativo, che vorrei dedicare un posto in questo blog per raccontarne la storia. Pur prendendomi qualche libertà narrativa, si tratta di quella raccontata dal fregio e dalla sinfonia.
Se è vero che noi esseri umani viviamo di storie, chissà che questa non riesca a far vibrare qualche corda della nostra personale ricerca della felicità.
Per le immagini, la contestualizzazione e la spiegazione artistica dell’opera consiglio la visione di questo video.
IL DESIDERIO DELLA FELICITÀ (parete di sinistra)
Persona era nata nel regno di Dovunque, in una grande famiglia felice. Della sua infanzia si ricordava le corse nei prati che faceva con i suoi fratelli e le sue sorelle fino all’imbrunire, il sorriso dolce della mamma quando rincasavano e la risata del papà quando gli saltava in braccio per tirargli giocosamente la barba.
Un giorno, però, era finito tutto. Così, all’improvviso, come in un lampo. Persona si guardava intorno: non era rimasto più nulla di quella gioia in cui era cresciuta. Ovunque voltasse lo sguardo vedeva intorno a sé sguardi tristi, miseria e sofferenza, e non ne capiva il motivo.
“È frutto di un incantesimo” le sussurrarono una notte delle voci. Persona si svegliò di soprassalto e vide degli spiritelli che fluttuavano e ridacchiavano sopra la sua testa. “Chi siete?” domandò spaventata. “Siamo il Desiderio della Felicità” risposero loro, svolazzando per la stanza. “Per liberare la tua gente dall’incantesimo, domani recati al castello sopra la collina e chiedi del Cavaliere dall’armatura dorata”.
Gli spiritelli sparirono e Persona tornò a dormire. La mattina seguente sapeva esattamente cosa fare: radunò le sue poche cose, un pezzo di focaccia per il viaggio e si mise in cammino verso la collina.
Arrivata al castello bussò forte: nessuna risposta. Provò a spingere il portone, era aperto. Entrò, titubante, e si accorse che la stanza era illuminata da alcune fiaccole che sembravano tracciare una via. Le segui, finché arrivò ad un’altra porta: la spinse e quasi rimase accecata dalla luce che emanava dall’interno.
“È il cavaliere dall’armatura dorata!” esclamò tra sé e sé, “l’ho trovato”. “Per favore, signor Cavaliere, mi aiuti a ritrovare la Felicità, per me e per tutte le Persone come me”.
“Per farlo” rispose il Cavaliere con la sua voce tonante “ho bisogno di qualcosa di tuo, di un tuo impegno”. E così dicendo prese dal fagotto di Persona Compassione e Orgoglio. Lei si sentì tutto d’un tratto esausta: il Cavaliere aveva preso le sue forze interiori.
LO SCONTRO CON LE FORZO OSTILI (parete centrale)
La scena che si ritrovò davanti era agghiacciante: due delle tre teste del gigante Tifeo non smettevano di emettere cenere e fumi, mentre la terza, quella centrale, aveva sembianze umane e sembrava riposare. Le goccioline di pioggia sul suo manto arruffato luccicavano. La sua coda era lunghissima e le ali blu spaventosamente forti.
Alla sua sinistra dormivano le sue figlie, Steno, Euriale e Medusa. Il Cavaliere aveva sentito parlare di loro come delle tre Gorgoni, mostri dalle ali d’oro con artigli di bronzo al posto delle mani, zanne di cinghiale e serpenti come capelli. Erano davvero spaventose! Si raccontava che chiunque le guardasse direttamente negli occhi rimanesse pietrificato.
Il Cavaliere fece per avvicinarsi, ma gli si pararono davanti tre terrificanti caricature di donna: si rese conto di essere davanti alla Malattia, alla Pazzia e alla Morte, le custodi del gigante. Le ginocchia gli tremarono e lottò con tutto se stesso per rimanere saldo. “Non vi temo!” urlò, e si lanciò a spada sguainata contro di loro. Nel momento in cui le stava per trafiggere, però, esse svanirono e lui si ritrovò catapultato altrove.
Si alzò da terra e vide che ovunque attorno a lui c’erano uomini che banchettavano seduti a lunghissimi tavoli pieni zeppi di ogni ben di dio, o che oziavano all’ombra di grandi piante facendosi servire e riverire da tre donne bellissime. “Resta con noi” sussurrarono all’unisono Lussuria, Impudicizia e Intemperanza, “non te ne pentirai”. Ma il Cavaliere tirò dritto per la sua strada.
Tutto d’un tratto anche questa illusione svanì e si ritrovò faccia a faccia con Tifeo che lo stava osservando silenzioso e immobile con i suoi occhi di madreperla. All’improvviso le tre Gorgoni spalancarono gli occhi e lo guardarono. Il Cavaliere strinse a sé l’Orgoglio e ricambiò lo sguardo. “Se devo morire pietrificato” pensò “almeno lo farò con fierezza”.
Ma non diventò una statua di pietra. Ci fu un gran frastuono, il gigante e le sue figlie si sgretolarono come sabbia, lasciando intravvedere dietro di loro una donna smilza, rannicchiata a terra. Piangeva a dirotto, di un dolore struggente. Il Cavaliere si avvicinò, pieno di Compassione. Solo in quel momento si accorse che nel frattempo aveva smesso di piovere e che i deboli raggi di sole che filtravano dalle nubi ormai diradate illuminavano gli spiritelli che fluttuavano e ridacchiavano sopra la loro testa. L’incantesimo era rotto.
INNO ALLA GIOIA (parete di destra)
Il viaggio di ritorno fu molto piacevole: li accompagnarono gli spiritelli che, sempre ridendo, raccontarono loro molte storie divertenti e barzellette. Al loro arrivo li accolse tutta la corte, con musica, canti e balli. Proprio mentre il coro e l’orchestra del regno intonavano l’Inno alla Gioia, la donna rivelò al Cavaliere di chiamarsi Felicità e gli sfiorò le labbra, sussurrandogli un verso della musica che stavano ascoltando: “Questo bacio al mondo intero”.