Nell’ultima newsletter, che poi è la prima delle nuove “lettere” mensili che vi spedisco sul tema dell’amore e delle relazioni, ho nominato il mito del guaritore ferito.
Il mito è piuttosto conosciuto: Chirone, saggio e benevolo centauro immortale, fu colpito per errore da una freccia di Eracle. Questa ferita inguaribile gli provocava moltissimo dolore e lo condannava a una vita di sofferenza proprio a causa della sua immortalità. Zeus, mosso a compassione, permise a Chirone di donare la sua immortalità a Prometeo, salvando lui e tutti gli uomini.
Ma Chirone non si fece abbattere dal dolore e dall’idea della morte: passò invece tutta la vita a studiare e imparare l’arte medica attraverso cui risanare gli infermi e gli ammalati; fu insegnante perfino di Asclepio, leggendario padre della medicina. Fu imparando l’arte della cura, sollecitato da quello che gli era accaduto, che Chirone riuscì a trovare significato per la sua stessa sofferenza.
Questo mito ha avuto moltissime interpretazioni, ispirando grandi psicologi (come Jung) sul tema e sul valore della fragilità che, quando non viene negata, può diventare vera forza per sé e per gli altri.
Diventa invece drammatica proprio quando viene esaltata in quanto tale (la fragilità fine a se stessa), quando ci si lascia andare all’impotenza, quando viene negata o sminuita.
Sentirsi fragili può far sentire soli, molto soli. Ma può essere anche un ponte per incontrare altre solitudini, altre fragilità, e per scoprire che in fondo nessuno viene definito da questo. Possiamo essere (anche) fragili, e molto altro.