Parlano chiaro i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, che svolge le sue attività di ricerca e di prevenzione in scuole di tutta Italia con l’obiettivo di rilevare le principali problematiche dei ragazzi in famiglia, a scuola e in ambito relazionale, nonché di valutare l’impatto della tecnologia sui loro comportamenti e sulla loro psiche. Il 98% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni possiede uno smartphone personale fin dai 10 anni, utilizzandolo anche diverse ore al giorno. Più i ragazzi sono piccoli, più hanno precocemente tra le mani vari strumenti tecnologici, con la possibilità anche di accedere liberamente a internet e alle applicazioni presenti nel telefono dei genitori, che dal canto loro si sentono tranquilli se il figlio utilizza il proprio cellulare pensando che non possa adoperare tutte le sue funzioni.
Il 95% degli adolescenti ha almeno un profilo sui social network, contro il 77% dei preadolescenti: il principale è ancora Facebook (69%), seguito con pochissimo scarto da Instagram (67%) e Youtube (66%). La maggior parte dei ragazzi gestisce in parallelo 5 o 6 profili, insieme a 2 o 3 app di messaggistica istantanea. La ricerca sottolinea come il fatto di avere una serie di applicazioni social sconosciute ai genitori permette ai figli di essere meno controllati e di osare di più, favorendo la diffusione di materiale privato e fenomeni quali il cyberbullismo. Il 14% degli adolescenti, inoltre, ha anche un profilo finto, che nessuno conosce o che conoscono solo in pochi: se la supervisione dei genitori viene a mancare, aumenta il rischio di essere preda della rete.
La maggior parte del tempo, tuttavia, è dedicato alle chat: 6 adolescenti su 10 dichiarano di non poter più fare a meno di WhatsApp. La quasi totalità degli adolescenti (il 99%) e dei preadolescenti (il 96%) lo utilizza ogni giorno, sia scambiandosi i compiti attraverso il gruppo-classe sia chattando in maniera sistematica e ripetitiva.
Da un punto di vista psicologico come possiamo interpretare questi dati che appaiono così allarmanti?
LE RELAZIONI AL TEMPO DEI SOCIAL
Internet, gli smartphone, i social network sono degli strumenti: le possibilità che favoriscono e i rischi a cui espongono dipendono in gran parte da come li si utilizza. Grazie a essi, ad esempio, le opportunità di apprendimento si sono moltiplicate praticamente all’infinito, così come le occasioni di confronto e di scoperta di mondi, culture e soluzioni diverse dalle proprie. La rete offre la possibilità di restare in contatto con persone lontane, di condividere risorse, di lavorare meglio e più efficacemente. Il problema non è l’uso dei social network e delle chat, ma quando diventano praticamente l’unico modo per la persona di stare in relazione.
Per alcuni adolescenti, infatti, essi rappresentano una tentazione irresistibile nella misura in cui, mettendo una distanza fisica tra sé e l’altro, creano l’illusione di poterli liberare da una gran parte dei problemi relazionali tipici della loro età: il bisogno di appartenere e di essere approvati, la paura di non piacere, il terrore del rifiuto. L’altro non mi vede, quindi posso mostrargli solo le parti di me che ritengo accettabili, e io non vedo l’altro, perciò posso osare di più.
Molte di queste relazioni possono essere del tutto virtuali, cioè non corrispondere a una conoscenza faccia a faccia, fisica. In questi casi, tuttavia, virtuale è sinonimo – e non contrario – di reale: si tratta di vere e proprie amicizie, a volte anche molto profonde poiché ci si sente più liberi di aprirsi; non c’è il rischio che poi l’amico o l’amica tradisca la fiducia e tutta la classe venga a sapere i proprio segreti. Si tratta di relazioni vere, quindi, ma con più ampie possibilità di mantenerne il controllo: ti mostro chi sono veramente, ma solo fino a un certo punto, solo fino a dove voglio io. In fondo, però, si tratta di un modo poco efficace per gestire la paura di mostrare se stessi, perché nemmeno centinaia di km di distanza possono sciogliere il dubbio di venire rifiutati se l’altro scoprisse veramente come siamo fatti, se questo è quello che si pensa di se stessi.
La distanza permette di tenere a bada le frustrazioni, ma fino a un certo punto: cosa succederà quando ci troveremo a tu per tu? Cosa diremo? Ci piacerà passare del tempo assieme? Per un ragazzo comunicare online può diventare più gratificante di uscire insieme, perché l’imbarazzo, la noia, la paura vengono minimizzati. Questo tipo di interazioni, tuttavia, non riesce a soddisfare pienamente il bisogno di vicinanza e di relazione che ci caratterizza in quanto esseri umani: il paradosso, per alcuni adolescenti, sembra essere che più questo bisogno cresce, più cercano di appagarlo aumentando il tempo passato sui social o in chat, più aumenta l’insoddisfazione. Quasi sempre questo circolo vizioso avviene a un basso livello di consapevolezza, favorendo una vera e propria dipendenza da internet.
A CACCIA DI LIKE
Mentre aumenta il fenomeno del Vamping, ossia trascorrere numerose ore notturne sui social per leggere notifiche e messaggi e non sentirsi tagliati fuori, sempre più spesso i ragazzi tendono a misurare se stessi e il proprio valore in base alla quantità di like che ricevono sui vari profili e al loro numero di followers (letteralmente “seguaci”, persone che seguono l’attività online di qualcun altro). Molti likes e followers accrescono l’autostima, la popolarità e quindi la sicurezza personale, che appare sempre più profondamente legata all’approvazione degli altri più che a una vera consapevolezza di sé. Al contrario commenti dispregiativi e pochi like condizionano l’umore e l’autostima in negativo, ma rendono anche più influenzabili e meno consapevoli di sé, dei propri desideri e delle proprie aspirazioni: più che ascoltare se stessi diventa prioritario piacere agli altri.
Questa ricerca di approvazione ha da sempre caratterizzato l’essere umano, anche prima dell’avvento di internet, ed emerge in particolare durante l’età adolescenziale. Quello che è cambiato da quando sono entrati in gioco i social network è la vastità e il peso specifico del fenomeno, che se soltanto una ventina d’anni fa era legato principalmente al giro di amici, alla classe, alla scuola, oggi è potenzialmente illimitato. Il rischio è di non riuscire a portare a termine quel necessario (a volte doloroso) lavoro di individuazione e di consapevolezza di sé che dovrebbe essere il risultato del processo adolescenziale, diventando – anche da adulti – dipendenti dall’approvazione altrui.
COSA POSSONO FARE GLI ADULTI?
Proibire non serve a molto, soprattutto per i ragazzi più grandi. Quello che si può fare, sicuramente in modo più lento e con più fatica da parte delle famiglie, è educare i bambini e i ragazzi a un uso consapevole e intelligente della tecnologia fin dalla più tenera età.
Questo significa, in primo luogo, dare l’esempio. Moltissimi genitori, magari sfiniti dopo una giornata di lavoro e da cose ancora da fare, danno in mano il proprio cellulare a bambini anche piccoli che, velocissimi, imparano a usarlo meglio di loro. A volte fuori casa è più facile mettere davanti al figlio un video di Youtube piuttosto che corrergli dietro o gestire i suoi capricci. Se da una parte i ritmi della vita quotidiana sono sempre più frenetici e mettono a dura prova mamma e papà, occorre ricordarsi che l’educazione all’utilizzo dello smartphone e dei social inizia da questi primi anni.
Inutile poi proibire l’uso del telefonino ai ragazzi se si fa fatica ad alzare gli occhi dal proprio. È difficile insegnare a comunicare se non lo si fa in prima persona, e lo è ancora di più aiutare i propri figli a svincolarsi dal bisogno di approvazione altrui se si dipende dal proprio successo “social”.
Occorre inoltre fare squadra con gli altri genitori ed educatori, alzando e non abbassando ulteriormente l’età in cui si comprano i primi cellulari ai ragazzi. Spesso si tende a liquidare la questione invocando una vaga “mezza misura” nel loro utilizzo, consapevoli dei potenziali danni e dei pericoli; eppure si continua a comprare gli smartphone a bambini sempre più piccoli, perdendo (quasi) ogni dubbio nel passaggio dalla teoria alla pratica. Girando per le classi delle medie – e sempre più frequentemente perfino degli ultimi anni delle elementari – sono pochissimi i ragazzi senza cellulare. “Sarebbe l’unico senza, sarebbe escluso” è quello che ci si dice tra genitori, facendo eco al senso di esclusione dei figli, ma perché non invertire la tendenza, rimandando l’acquisto a quando sono un po’ più grandi e più consapevoli?
Infine, non smettere di ascoltare e di parlare con i bambini e i ragazzi, per quanto sia complesso farlo durante il periodo adolescenziale. Lo smartphone, internet, i social network di per sé non sono negativi: sono degli strumenti che, qualora ci sia un disagio o una fragilità personale, possono fare da veicolo per una sua manifestazione. Il focus è, prima di tutto, aiutare il ragazzo a riconoscere la propria difficoltà, sostenendolo nell’esplorare ciò che lo blocca e le possibili soluzioni alternative al telefonino.
Mercoledì 18 ottobre 2017 alle ore 19.00 presso la Libreria Limerick di Padova (via Tiziano Aspetti 13) approfondiremo il tema durante l’incontro “Generazione #Hashtag: essere genitori (e figli) ai tempi dei social“. L’incontro è a offerta libera, che sarà interamente devoluta per le attività della libreria. Gradita la prenotazione.
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