Da qualche anno anche per noi 31 ottobre è diventato sinonimo di Halloween, di zucche, di mostri e di paura. Questa occasione può piacere o non piacere ma, se allarghiamo il punto di osservazione, può essere uno spunto per riflettere sul ruolo della paura nelle nostre vite e nella nostra cultura.
La paura può assumere varie forme e a loro volta queste cambiano durante il corso della vita, così come il fatto di venire più o meno accettate. Per i bambini e i preadolescenti, ad esempio, le favole e le storie di paura raccontate da voci amiche in un ambiente rassicurante hanno un ruolo importante nell’imparare a dare un nome e a gestire la paura. Per gli adulti, invece, la faccenda è più complicata: sembra quasi “vietato” avere paura e, spesso, questo veto viene proprio da se stessi.
La paura più grande, allora, diventa… la paura stessa, come accade a Fabio nella storia (di fantasia) che segue.
Fabio, 38 anni, ha avuto il suo primo attacco di panico mentre era in auto. Stava tornando dal lavoro quando ha iniziato a sentire il cuore che batteva all’impazzata, il respiro accelerato, un forte dolore al petto. Accostando la macchina, ricorda di aver pensato distintamente di stare per morire e che stava finendo tutto così, in un momento qualunque.
Invece, pian piano, il cuore e il respiro si sono calmati, la vista annebbiata è tornata quella di prima.
Dai controlli fatti successivamente, prescritti dal suo medico di base, non risulta alcun problema al cuore o che possa spiegare quell’episodio. Parlandone di nuovo con il medico si fa strada l’ipotesi dell’attacco di panico.
Da quella visita Fabio torna a casa più spaventato che mai: l’unica certezza che ha in questo momento è che non sa quando potrebbe ricapitargli una cosa del genere. Comincia a evitare di guidare: fortunatamente alcuni colleghi devono passare vicino alla sua abitazione sia all’andata che al ritorno dal lavoro e si offrono di dargli un passaggio. Per il resto degli spostamenti si affida a sua moglie o resta a casa, anche a costo di perdere qualche occasione. Esce sempre di meno, ma non per questo è più tranquillo: si sente sempre teso, all’erta. Non riesce a rilassarsi neanche nel sonno, intervallato da frequenti risvegli che lo lasciano più spossato di prima.
Dopo qualche mese decide di rivolgersi a uno psicoterapeuta. Mentre racconta di com’è diventata la sua vita dopo quel primo episodio di panico, si rende conto di aver perso di vista il problema principale: è così occupato a evitare le situazioni in cui può rivivere il problema che non si è mai domandato da dove è venuto, o come mai. Nel frattempo il suo disagio è aumentato e ha iniziato ad aver paura della paura stessa!
Prendendo consapevolezza di ciò, nei mesi successivi Fabio e il terapeuta lavorano proprio su che cosa significano per lui la paura, l’evitamento di alcune situazioni e gli attacchi di panico. Pian piano capisce che quello che vuole evitare di più in assoluto, quello che gli fa veramente paura, è mostrarsi fragile: ha paura che il prossimo episodio possa accadere al lavoro, dove tutti i colleghi lo possono vedere e compatire. Ha paura che questo problema non gli permetta più di prendersi cura della sua famiglia.
Terapeuta (T): “In questo momento, tuttavia, sembra proprio la paura dell’attacco a bloccarla, più che il panico in sé.”
F: “E come dovrei fare? Voglio dire… e se poi sto male davanti agli altri e succede un casino?”
T: “Sarebbe tanto terribile stare male davanti agli altri?”
F: “Beh, vorrebbe dire non essere all’altezza…”
T: “Di cosa?”
F: “Di quello che si aspettano da me.”
T: “Fabio, anche a lei può succedere di stare male, o di avere paura. È umano.”
F: “È strano: lo so, ma non lo accetto. Anche da ragazzino, quando gli altri mi facevano gli scherzi… sa, a quell’età è normale… io ne soffrivo, ma non volevo farlo vedere. Ero come una sfinge: tutto pur di non mostrar loro quello che provavo veramente. E di paura ne avevo, ne avevo tanta.”
T: “È come se, da allora, fosse rimasta quella la regola. Che cosa rischiava, se mostrava la paura?”
F: “Bella domanda! Oggi le risponderei <<niente!>>, ma allora mi sembrava la cosa più importante del mondo. Forse non ho mai aggiornato le regole del gioco.”
T: “Possiamo farlo ora.”
F: “Sembra proprio che sia arrivato il momento.”