Attenzione: NON contiene spoiler
“Tredici”, la nuova serie televisiva statunitense da poco disponibile anche in Italia, non è facile né guardare né da digerire.
Basata sul romanzo dello scrittore Jay Asher, racconta del suicidio della diciassettenne Hannah Baker e del doloroso, lancinante percorso che l’ha portata a scegliere di mettere fine alla sua vita: il titolo fa riferimento infatti ai tredici motivi alla base del suo gesto. Alla sua storia, però, se ne intrecciano molte altre: il telefilm scoperchia, in modo così realistico da lasciare spiazzati, i conflitti e la sofferenza di una generazione intera, alle prese con i “vecchi” problemi degli adolescenti (il cercare di piacere agli altri, la popolarità vs il sentirsi invisibili, la prevaricazione, la difficoltà di comunicare con gli adulti, l’abuso di sostanze) ma con mezzi “nuovi” (il cellulare, i social media) che sembrano amplificare le possibilità del disagio. Forse è anche per prendere le distanze da tutto questo che Hannah, per raccontarsi, sceglie di utilizzare le ormai obsolete cassette a nastro.
Consiglio la visione di questa serie agli adulti, ancor più che ai ragazzi (peraltro sono i produttori stessi a consigliare la visione di alcune puntate con un pubblico adulto). Penso soprattutto a genitori, insegnanti, educatori e professionisti dell’aiuto, che hanno il difficile e delicato compito di raccogliere le richieste di aiuto degli adolescenti (e non solo le loro) e di educarli pian piano alla possibilità di farlo, anche quando sembra impossibile. Ne consiglio la visione anche a tutti coloro che sono “sopravvissuti” alla propria adolescenza: il telefilm potrebbe far tornare indietro di qualche anno e regalare un punto di vista nuovo.
A mio avviso, infatti, “Tredici” mette a fuoco e descrive senza troppi giri di parole parecchie cose sulla sofferenza e sul chiedere aiuto, valide ad ogni età e per situazioni anche molto diverse da quella raccontata. Eccole, in tredici punti senza spoiler.
1. La serie parla del suicidio, ma soprattutto delle sue alternative
Hannah ha scelto il suicidio per mettere fine alla sua sofferenza. Nel corso delle puntate, tuttavia, emergono molti personaggi che soffrono profondamente, alcuni per vicende simili a quelle vissute da lei, eppure nel bene o nel male scelgono strade molto diverse dalla sua. Qualcuno di loro scopre che quello che non sembrava affatto praticabile non solo lo può diventare, ma può addirittura liberare.
2. Il dolore non va mai sottovalutato
Neanche quando sembra un capriccio o un modo di attirare l’attenzione. Se la persona potesse fare qualcosa di diverso da quello che sta facendo, vivendo con un po’ più di felicità, lo farebbe.
3. Non sappiamo cosa vivono le persone vicino a noi
Spesso ce ne dimentichiamo o ci fermiamo alle apparenze. A volte possiamo anche arrabbiarci perché vorremmo che gli altri si interessassero a noi ma non lo fanno, senza chiederci se noi lo stiamo facendo con loro. Non sappiamo quello che si muove nel cuore degli altri: cerchiamo di essere gentili.
4. Quello che oggi sembra un fallimento domani potrà migliorare
Credere che una situazione negativa resterà così per sempre è una caratteristica tipica del periodo adolescenziale. Occorre ricordare ai ragazzi che le cose cambiano in fretta (anche loro lo stanno facendo). L’impopolarità, uno sbaglio, una figuraccia non sono tutto, vanno visti in prospettiva.
5. Ogni storia è la storia di qualcuno
Potrebbe perciò essere raccontata diversamente dagli altri protagonisti: che cosa succederebbe se chiedessimo cosa accade dal loro punto di vista? Chissà, qualcuno potrebbe farci vedere degli aspetti che non avevamo considerato. Hannah si sarebbe sentita così invisibile, se avesse trovato il coraggio di chiedere?
6. Parlare, parlare, parlare
Vale ad ogni età. Serve non solo a sentirsi più leggeri, a condividere, ma anche a trovare aiuto. Hannah, purtroppo, ha scelto di parlare a un registratore e di permettere agli altri di capire che cosa provava solo dopo la sua morte.
7. È possibile chiedere aiuto
È vero, non tutti possono aiutarci, ma sono molte le persone a cui è possibile rivolgersi. Genitori, insegnanti, psicologi e psicoterapeuti: qualcuno di cui ci si fidi quel tanto che basta per “tuffarsi”. Nel caso in cui ci si rivolga a professionisti occorre evitare personale non qualificato, quindi non preparato ad accogliere e rispondere a una richiesta di aiuto.
8. Non giudicare chi chiede aiuto
Giudicare qualcuno è il modo migliore per farlo scappare. Questo significa, a volte, stare in ascolto anche se non si capisce tutto, accogliere, proteggere, aspettare. Prima di tutto va costruita e tutelata la relazione con la persona che chiede aiuto, poi arrivano le soluzioni, non il contrario.
9. Chi aiuta va aiutato a sua volta a capire
Chi aiuta, anche quando si tratta di un professionista, non è onnipotente: non può leggere nel pensiero o indovinare cosa sta succedendo, a meno che la persona che ha bisogno di lui non si apra e non gli fornisca gli elementi per capire. Un genitore non può sapere quello che suo figlio non gli dice o quello che questi si aspetta da lui (vale anche il contrario). Questo principio è valido per ogni tipo di comunicazione, a tutte le età: quello che pensiamo potrebbe non essere evidente per gli altri come lo è per noi, e se abbiamo bisogno di qualcosa possiamo chiederlo apertamente anziché farlo indovinare e poi arrabbiarci perché non è successo.
10. Il bullismo è un fenomeno complesso (e non esiste solo a scuola)
A mio avviso il telefilm lo mette in luce in modo perfetto. Certo, c’è la vittima (che va tutelata) e c’è il bullo, ma le motivazioni che spingono quest’ultimo possono essere le più svariate e non sempre nascono da un preciso intento di fare del male. Inoltre i ruoli si possono invertire: le cassette di Hannah non fanno forse soffrire molte persone?
11. Comunicare, e ancora comunicare
Andare oltre il “sentito dire”, che sia di persona o attraverso i social network. Il gossip esisteva molto prima di Facebook, anche se con internet può essere tutto più amplificato. Mai dare per buone informazioni di seconda o terza mano, verificare sempre.
12. Quello che per qualcuno può essere poco, per un altro può essere tutto
Non vale cavarsela con un “dai, non prendertela!” o un “cosa vuoi che sia?”. Ognuno è diverso, perciò vive le cose diversamente, secondo i suoi valori e la sua storia. Nel dubbio vale la pena chiedere. Anche uno “scusa” può servire a molto.
13. Seminare, e poi aspettare con fiducia che il raccolto sarà buono
Questo vale per i genitori e gli educatori, ma anche per ognuno di noi, a tutte le età. Non smettiamo di creare opportunità di dialogo, di crescita, di miglioramento: i frutti potrebbero non essere immediati, ma arrivano.
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