Ieri sera, all’incontro “Studenti Digitali” presso il Collegio Gregorianum di Padova, una studentessa ha fatto una riflessione che mi pare valga la pena condividere.
Partendo dalla sua esperienza sui social, in particolare Instagram, notava che spesso le persone tendono a interpretare quello che viene via via mostrato come l’intera realtà di vita dell’autore del post: è come se quello che non c’è (sul social) non esistesse. Punto.
Dal mio punto di vista non si tratta di un fenomeno nato con i social. Siamo fatti in questo modo: non possiamo tenere a mente tutto e tutte le possibilità, sarebbe roba da far girare la testa! Un meccanismo simile scatta, ad esempio, quando siamo tristi o arrabbiati per qualcosa che è accaduto e che sarebbe potuto andare meglio. Magari sappiamo, razionalmente, che sarebbe anche potuto andare peggio, ma non riusciamo a tenere insieme tutto l’insieme delle possibilità – sarebbe infinito – per cui a livello profondo ci direzioniamo verso quelle che ci sembrano più plausibili in base agli elementi che abbiamo o al nostro vissuto. È con questo campo più limitato di possibilità con cui ci confrontiamo.
La nostra mente tende a “riempire” i buchi delle informazioni e delle conoscenze, sempre parziali, che ha a disposizione. Raramente, e solo se ci soffermiamo a pensarlo, la realtà che percepiamo ci appare frammentata o incompleta; la maggior parte della giornata diamo per scontato di avere tutti gli elementi necessari per vivere, scegliere, muoverci. E guai se non fosse così, perderemmo un sacco di tempo a raccogliere dati senza mai arrivare ad avere un quadro completo della vicenda e a decidere che direzione prendere. Non vivremmo più: non arriveremmo nemmeno a fare colazione se non limitassimo la scelta a pochi prodotti facilmente disponibili alla nostra attenzione…
Tendiamo ad utilizzare questo stesso sguardo anche con noi stessi e con gli altri, e i social network in qualche modo riescono a intercettare questa caratteristica e la amplificano. Tutto questo si impasta con il bisogno di vicinanza e di contatto, presente in diversi modi per tutta la nostra vita. Dandoci la parvenza di una presenza costante nella vita degli altri (o almeno di chi si presta a farlo postando contenuti sui social), sentiamo di essere loro accanto e di sapere tutto.
Cosa non sappiamo, invece?
Probabilmente, proprio quello che le persone non vogliono mostrare di loro. I momenti più bui, i dubbi, lo scoraggiamento, il fallimento. Anche quando ci mostrano degli sbagli o delle goffaggini, beh sembrano sempre così carini e perdonabili… quelli degli altri.
Se non c’è (leggi: non lo vediamo nella vita degli altri), non esiste: e se sono io a provarlo, a questo punto mi sembra strano, fuori dal mondo, una roba da nascondere.
C’è un antidoto? Probabilmente più di uno; tra questi, quello più vecchio del mondo consiste nel continuare a parlare e confrontarsi con gli altri, scoprendo che sotto la patina che a noi appare dorata c’è un mondo più complesso, una persona fatta di tante sfaccettatura. Ma non basta saperlo, occorre farne esperienza.