“Sull’andatura di Lila avevo puntato da piccola per sfuggire al rione. Avevo sbagliato: dal mondo di mia madre e del rione nemmeno Lila ce l’aveva fatta a fuggire.”
Fuggire dal rione: questo sembra il filo conduttore delle scelte di Elena, a questo sembra essere finalizzato in modo particolare lo studio. È proprio a scuola che Lenù si sta distinguendo per la prima volta nella sua vita al di fuori dalla competizione con Lila, rispetto a cui per il resto si sente sempre un passo indietro. È la scuola che l’ha portata fuori dall’amato-odiato rione, è sempre la scuola che le permette di intravvedere una via d’uscita da una storia che da sempre le sembra già scritta, inesorabile, e da cui pare impossibile sfuggire.
Il rione: la sicurezza di un mondo conosciuto, al riparo dai pericoli più grandi della città, ma anche un luogo avvelenato da relazioni camorristiche e violente, in cui vige la regola del più forte (o più ricco, che lì sembra essere la stessa cosa). Un mondo a cui Elena sente di non appartenere più ma di cui fa fatica a spogliarsi, a lavarselo via di dosso. Quando le sembra di avercela fatta, ecco che ricompare sotto le sembianze di un ex vicino di casa abusante, di un ragazzo che la rifiuta, di un articolo negato, o del passo claudicante di sua madre che Elena ha il terrore di ritrovare nel suo stesso passo. Perché, se così fosse, sarebbe la prova che il rione le è entrato dentro: la prova che dal proprio passato non si può fuggire.
Perfino Lila, che sembrava determinata e invincibile, non ce l’ha fatta e in quel rione è rimasta intrappolata.
La voce narrante de “L’amica geniale” è un’Elena grande, spogliata del suo accento fortemente dialettale: non sappiamo ancora come, ma possiamo intuire che questo tentativo di prendere le distanze da quel mondo ha continuato e si è raffinato negli anni. Ma di questo mondo, di questa storia, Elena non si è mai liberata del tutto e ora lo sta raccontando a noi o, forse, soprattutto a se stessa.
Questa Elena adulta, infatti, sembra rendersi conto di qualcosa che sfuggiva alla giovane Lenù: il punto non è andare via da casa, dal rione, da Napoli; volente o nolente casa, il rione e Napoli sono parte della sua storia e del suo sé. Quanto più si allontana geograficamente, se cerca – metaforicamente – di chiuderli in una scatola e non pensarci, tanto più tendono a tornare a galla nei momenti più inaspettati.
Elena, da grande, ha scoperto sulla propria pelle che dal rione e dal proprio passato è possibile salvarsi soltanto nella misura in cui ci si rende conto che il lavoro più grande da fare è dentro se stessi, aggiustando e ricollocando i pezzi della propria storia, facendo riconciliare gli opposti, rendendo possibile un dialogo tra le varie parti di sé, risanando le ferite del passato.
Se è vero che niente può restituirci ciò che è andato perso o cambiare quello che ci ha fatto soffrire, è però sempre possibile riprendere i fili della propria storia là dove si erano strappati, e continuare a intessere qualcosa di nuovo, qualcosa capace di restituirci il senso della nostra vita e di rimettere in movimento quanto era rimasto bloccato.
Sarà quello che Elena, faticosamente e dolorosamente, imparerà in prima persona. La storia continua, e anche noi continueremo a raccontare durante la prossima stagione de “L’amica geniale” prodotta dalla Rai. Nel frattempo, perché non leggere (o rileggere) il primo volume da cui sono tratte queste prime otto puntate?
E noi, che rapporto abbiamo con il nostro passato?
Se dovessimo raccontare la nostra vita fino a qui, come sta facendo Elena, da dove partiremmo?
Ci sono pezzi della nostra storia o di noi stessi che vorremmo cancellare? In che modo?
Cosa potrebbe aiutare a riconcilarci con essi?
Dr.ssa Chiara Centomo – psicologa psicoterapeuta