“Che fai così? Mettiti il costume” (cit. Nella)
Tra le scene principali degli episodi 5 e 6 della fiction “L’amica geniale” veniamo invitati ad accompagnare Elena nel suo viaggio.
Per scoprire di poter nuotare Lenù ha dovuto percorrere una strada nuova, questa volta per mare: salire su un traghetto, accettare che la camminata sbilenca della madre, le vicende del rione, l’odore selvatico degli occhi di Lila potessero in qualche modo allontanarsi e temporaneamente perdersi. Quella di guardare Napoli sfumarsi dal traghetto non sembra essere una scelta deliberata per lei. È una possibilità spianata dalla maestra Oliviero.
Elena racconta chiaramente che quell’esperienza di terrore e felicità insieme si sintetizza ben presto in un sentimento sovraordinato: la gioia del nuovo.
Mi colpisce come la gioia del nuovo diventi percorribile nella periferia della storia di Elena, in un contesto lontano dalle dinamiche solite in cui, volente e nolente, non si percepisce la possibilità di fare altro se non quello che si è sempre fatto: rincorrere consensi, accaparrarsi pezzi di sicurezza nei voti, guadagnare traguardi che diventano tali solo se commisurati alla corsa degli altri con cui si è in gara e in competizione per la propria esistenza.
Ischia può rappresentare per Elena una periferia rispetto a tutto questo, un posto dove poter scegliere se rimanere in terrazza a guardare e pensare il mare o se finalmente provare a bagnarcisi.
La periferia rispetto al proprio centro ha un possibile difetto: la sensazione che non è esattamente lì che si sta giocando la propria partita.
La periferia ha anche un pregio: è un campo di sperimentazione a basso rischio dove lo sguardo dell’altro può essere talvolta esiliato, non sempre messo in discussione, ma messo fra parentesi. E’ uno sguardo che rimane per non esercitare necessariamente un effetto, persiste pur assumendo una prospettiva diversa; da figura si fa sfondo e permette qualcosa di nuovo e di diverso.
È in questa gioia del nuovo che per Elena si aprono nuovi scorci e nuovi incontri in cui può spiarsi e misurarsi con se stessa, indossare un costume per la prima volta e sentire l’effetto che fa immergerlo in acqua. Ed è proprio a questo punto della sua storia che potrebbe avere senso porre attenzione al ruolo di Nella, la signora gentile che si offre di ospitare Elena ad Ischia.
Nella ha una caratteristica fondamentale nel racconto e nella storia di Elena: è un personaggio secondario. Come tale, fuori da trame strette e morbose di relazioni del tipo “se tu… allora io” consentirà ad Elena di provare a guardarsi in modi nuovi, la esorterà a bagnarsi, la inviterà ad inseguire il traghetto di Nino in partenza, la comprenderà nei suoi ritardi notturni e nelle sveglie fuori orario, la agevolerà nel pensare che poter scegliere a volte, almeno in quella periferia, può significare qualcosa di meno grave, meno forte, meno definitivo, meno “una volta per tutte”.
Sarà sufficiente questo a sottrarre Elena dalle dipendenze in cui è cresciuta? Forse no, forse non per sempre, ma certamente questa esperienza della periferia le ha dato il gusto del nuovo, quello dell’altrove, quello della differenza tra qui e lì, quello di una possibilità in più in cui “tutte le cose portano scritto ‘più in là’”.
Quali persone alle periferie delle nostre storie ci hanno permesso e ci permettono uno sguardo nuovo su noi stessi e sulle cose? Cosa di quelle persone o della nostra relazione con loro ha reso possibile una nostra nuova sperimentazione? In che modo le sperimentazioni più periferiche della nostra vita hanno potuto trovare spazio d’azione anche laddove si giocavano o si giocano le nostre partite più significative?
Quali periferie o nuovi personaggi secondari possiamo trovare oggi nella nostra vita per poter sperimentare qualcosa di nuovo in direzione di un cambiamento desiderato?
Dr. Vito Stoppa, Psicologo Psicoterapeuta