Uno dei primi libri attinente a tematiche psicologiche che ho letto, molti anni prima di scegliere la psicologia come corso di studi e poi come professione, è stato “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo“, di A. de Mello. Non si tratta specificatamente di un testo di psicologia (de Mello è un sacerdote gesuita); negli anni è stato oggetto anche di critiche e io stessa l’ho potuto rivedere sotto altri aspetti, ma per me ha certamente rappresentato il punto di inizio di certe riflessioni sul funzionamento della psiche umana.
Il titolo del libro era tratto dalla storia con cui iniziava, che era la seguente:
“Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro.
Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto vecchia.
Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita: “Chi è quello?”, chiese. “È l’aquila, il re degli uccelli” rispose il suo vicino. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli.”
E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale.”
Quindi il problema, se non riuscivi a spiccare il volo, era che gli altri ti avevano fatto credere di essere un pollo, e tu stesso avevi aderito a questa definizione senza metterla in discussione, senza guardarti dentro.
Ricordo che questa storia, se da una parte mi affascinava, dall’altra mi sembrava molto inquietante: come fare a rendersi conto di essere qualcosa di diverso, se tutto quello che sai di te è che sei un pollo? E poi, la storiella non sottintendeva forse (senza dichiararlo) che essere aquile era meglio di essere polli? Che volare era preferibile al rimanere ancorati a terra? E chi l’aveva mai deciso?
Oggi, a distanza di una ventina d’anni, certe cose mi sono molto più chiare. Condivido fortemente il messaggio di fondo: cercare di essere se stessi, non quello che ci fanno credere o che noi stessi vogliamo credere, magari per paura. Conoscersi a fondo, guardarsi allo specchio e continuare a chiedersi: chi sono io? Che persona voglio essere?
Tuttavia lavorando come psicoterapeuta ho potuto capire anche che cosa non mi tornava del tutto in quella prima lettura. Uno di questi punti è che, fino ad ora, non ho mai incontrato aquile, o polli, ed escludo di incontrarne in futuro: non solo perché, chiaramente, lavoro con le persone (!!!), ma proprio perché dal mio punto di vista la metafora semplifica una realtà più complessa. Ho conosciuto – questo sì – moltissime persone che facevano fatica a trovare la loro strada, che non si ascoltavano, che non conoscevano molto bene certe parti di sé; parti che, una volta liberate, hanno permesso loro di realizzarsi e di tornare a vivere (o magari di provare a farlo per la prima volta). Ma in tutte loro – in tutti noi – c’era sia l’aquila, sia il pollo: conviveva sia la capacità di volare maestose nel cielo e di inseguire i propri obiettivi, sia la possibilità di stare con i piedi per terra, ancorati alla propria realtà e alle fatiche quotidiane, consapevoli che i sogni sono fatti anche di questo lavoro “dal basso” e che la felicità si conquista un passo alla volta.
Per qualcuno è bastato raccontarsi la storia in questi termini per riconoscere il proprio valore, al di là degli stereotipi: “sii aquila o hai perso” sembra dirci la società e, contemporaneamente, “vola basso” per chi osa un po’ fuori dagli schemi.
Per altri la sfida è stata scoprire di essere entrambe queste parti, aquila e pollo, e anche molto di più.
Altri ancora hanno cercato il senso che ha avuto nella loro storia sentirsi ora in un modo ora in un altro, mettendo in luce quello che di volta in volta in questi panni avevano potuto scegliere o fare. A quel punto il dubbio di essere nati nel nido sbagliato si è semplicemente dissolto: erano quello che erano, e ci avevano fatto pace.