Cosa ho imparato dall’incontro nella stanza della terapia con i caregivers che si prendono cura di persone affette da malattie degenerative e/o terminali e con chi ne sta vivendo il lutto:
– che, per quanto graduale e annunciato, nessuno è mai veramente pronto al decorso della malattia e alla morte della persona cara
– che prendersi cura degli altri è faticoso, ma è ancora più faticoso prendersi del tempo per riposarsi o riuscire per un momento a pensare ad altro senza sentirsi in colpa
– che ad ogni tappa importante e desiderata della propria vita è come essere divisi a metà: metà gioia e metà dolore, in un gioco di chiaroscuri e di ombre difficile da spiegare a qualcun altro
– che a volte gli ultimi momenti – mesi, giorni, attimi – con la persona cara possono restituire e risanare le incomprensioni e gli sbagli di una vita intera
– che a volte, al contrario, tutto questo fa scoppiare delle vere e proprie bombe all’interno dei nuclei familiari o tra le amicizie
– che non è affatto facile stare faccia a faccia con il dolore, e che nelle relazioni si tende a rimuoverlo (aumentando il senso di solitudine e incomprensione)
– che ogni malattia e ogni lutto muove in ognuno dei vissuti intensi, profondi, profondamente personali, e lo fa per ciascuno in modo diverso a seconda della propria storia
– che, nel bene e nel male, confrontarsi con il fine vita toglie il superfluo e ci mette, nudi, davanti allo specchio
– che, proprio per questo, tale confronto può essere terrificante o salvifico, a seconda della strada che si imbocca per affrontarlo
– che nell’imparare a ri-conoscere (nel senso di conoscere di nuovo) qualcuno che ci stiamo preparando a lasciar andare, abbiamo la possibilità di ri-conoscere (nel senso di prendere consapevolezza) di qualcosa di noi che era sconosciuto ai nostri stessi occhi.