(di Chiara Centomo e Chiara Lui)
Domenica pomeriggio: circa venti psicologi e psicoterapeuti impegnati in una formazione in gruppo, come ogni mese da qualche anno a questa parte. Lo sguardo di uno di loro si posa sull’espressione del viso di un altro, uno scambio di battute:
Che hai?
Mah… mi sto annoiando…
Uh, la noia! Cos’è la noia?
Comincia una discussione, ma ben presto una proposta sembra mettere tutti d’accordo: un motore per l’azione… Pensate a cosa fanno i bambini: quando si annoiano, si muovono, cercano immediatamente di fare qualcosa, di occuparsi… Una certa dose di noia è fondamentale per la crescita.
Altri due sguardi si incrociano, i loro volti sono perplessi perché non riescono a ritrovarsi in questa spiegazione: davvero i bambini si annoiano?
Io non ho mai visto un bambino che si annoia, interviene l’una.
Nemmeno io!, fa eco l’altra.
Se guardiamo alla noia come ad un “non far nulla”, contrapposto ad un “essere impegnati nel fare qualcosa”, nella nostra esperienza è difficile e raro osservare un bambino piccolo che davvero “non fa nulla”. Pensiamo allo sguardo attento dei neonati, impegnati a scoprire ogni particolare del mondo circostante, o al bisogno di muoversi e di toccare per conoscere tutto quello che possono raggiungere non appena iniziano a gattonare o camminare.
Forse non è un caso che la categoria della noia tenda ad essere usata tanto più frequentemente quanto più cresce l’età dei bambini a cui ci riferiamo: si annoia tutto il giorno, non so più cosa fare per catturare la sua attenzione.
Ma come definirebbero i bambini, dal loro punto di vista, questo apparente “non fare”?
È ragionevole pensare che essi non descriverebbero la loro esperienza in termini di noia, ma che si muovano sempre verso qualcosa?
È il bambino ad annoiarsi, o siamo noi ad interpretare un certo “non fare” come noia?
Può diventare, questa, una parola che impariamo ad usare da grandi? Ad esempio quando qualcuno ci scova impegnati in un più o meno dolce far niente e ci chiede che fai? Ti stai annoiando?
Sulla noia son state scritte pagine e pagine da grandi del pensiero, filosofi, esistenzialisti. Ci sembra un concetto che ha sicuramente ragion d’esistere e che può dare significato ad un certo tipo di esperienza ma che – forse – non ci è utile nel tentare di comprendere un bimbo che, nella sua genuinità di azione, è sempre “impegnato in qualcosa”.
E nondimeno si potrebbe dire dell’adulto, con la differenza che diventando grandi abbiamo imparato a chiamare “noia” tutte quelle sensazioni più o meno indefinite che emergono quando il “fare” frenetico e magari proiettato in tante direzioni contemporaneamente si attenua un po’. O quando ci aspettiamo che qualcosa o qualcuno al di fuori di noi ci attragga e ci stimoli al punto da distrarci dalla noia di una compagnia poco interessante, di una serata un po’ lenta o di un lavoro che ci appare senza attrattive.
E allora, forse che, come per la proverbiale bellezza, anche della noia non si possa dire che sta (soltanto) negli occhi di chi guarda?